Enrico II fu uomo potente e saggio: concesse nel 1307 alla parte alta o “terra superiore” i privilegi di città, la quale godeva fin dal 1210 del diritto di mercato. A Gorizia venne concesso il sigillo nel cui corpo centrale era raffigurato il castello, composto su tre piani e coronato di merli a coda di rondine o ghibelline, dominato dal mastio possente, merlato e munito di torricelle in legno e di sporti. La città era un esempio di autonomia medievale: il principale organismo connesso al suo governo era costituito dagli Stati Provinciali, composti da rappresentanti della nobiltà, dai cittadini, ma non dal clero. Il loro compito era quello di affiancare il conte nel governo della contea: molte le attribuzioni, dal governo locale, ai dazi, agli annonari, alla fiscalità, nonché alla battitura di moneta, fino alle questioni legislative, militari e politiche. Non mancheranno, da parte degli Stai provinciali, tentativi di condizionare il potere sovrano.
Con l’importante concessione del 1307 le attività artigianali e commerciali fiorirono liberamente all’interno delle mura; ai cittadini però spettava la manutenzione della casa del Comune, delle porte e delle mura del castello, per cui riscuotevano alcune tasse, come quella sul sale.
Enrico II fu anche un raffinato stratega e nelle contese con i patriarchi seppe intraprendere sagge alleanze, come sottolinea Sergio Tavano nella sua opera monografica I Goriziani nel medioevo conti o cittadini: “il patriarcato, profondamente lacerato nel suo interno, non costituiva più la potenza terribile dei decenni precedenti: occorreva però preliminarmente dominarlo. Enrico II, accostatosi a Gherardo da Camino, il “buon Gherardo” ricordato da Dante e il più potente che premesse il patriarcato da occidente, ne sposò la figlia Beatrice (1297). Alla morte di Raimondo della Torre, Enrico II tentò invano di far eleggere patriarca lo zio materno, Corrado, e, mirando oltre i confini del Friuli, non esitò a scontrarsi con i comuni di Udine, Cividale e Gemona. Non gli fu facile piegare i patriarchi e la nobiltà friulana: solo nel 1313 il patriarca Ottobono (1302 – 1315), stipulando la pace con il conte, ne riconosceva la superiorità e gli conferiva la carica di capitano generale”.
Enrico II, fiducioso della neutralità di Venezia, procedette verso Treviso, lasciando che Cangrande della Scala mi- 15 rasse a Padova; una volta vinta la città lo Scaligero si mosse verso Treviso e a questo punto Enrico intervenne da avveduto uomo politico e conquistò la città lasciando quelle libertà comunali delle quali aveva già goduto con i nobili da Camino e fatte salve da Federico d’Asburgo; anche Padova rimarrà con Enrico, proclamandolo Signore a discapito di Cangrande. L’apice della sua politica si ebbe con la nomina a podestà di Trieste, nonché vicario generale della Marca trevigiana nel 1320.
Nel momento in cui il suo interesse cadde sulla città di Verona, in un tentativo di creare un anello intorno al patriarcato di Aquileia per realizzare uno stato che andasse dalle Alpi al mare, la morte sopraggiunse il 23 aprile 1323, non senza lasciare il sospetto di un avvelenamento ordito dallo stesso Cangrande della Scala.


